Sono impegnato nell'unione di tutti i differenti blog che ho in un'unico blog accessibile a tutti, quindi d'ora in poi le informazioni e i post saranno tutti postati a questo indirizzo
mercoledì 6 agosto 2014
mercoledì 13 novembre 2013
GRANDMA - UNA STORIA INTERATTIVA GROTTESCA
GRANDMA è una storia interattiva strutturata come test per il software Twine.
Contiene elementi disturbanti, violenti e in generale molto no-sense, quindi occhio.
Si tratta di un'opera di fantasia (malata) che non rispecchia in alcun modo la realtà e che ha come unico obiettivo quello di raccontare una storia inquietante.
giovedì 10 ottobre 2013
NUOVA SERIE IN ARRIVO E ALTRE FOLLIE
Mi sono reso conto che non aggiorno questo blog con la dovuta frequenza, quindi ecco un paio di news succose.
Sto stendendo il concept per una nuova serie di storie, probabilmente strutturata come un falso diario, e credo sarà molto interessante da leggere.
Un paio di e-mail, spedite non so da chi, chiedevano se accettassi donazioni. Insomma, i soldi sono sempre ben accetti, ma non credo sia adeguato un tasto "dona" sui miei blog.
Che ne pensate voi?
Sto stendendo il concept per una nuova serie di storie, probabilmente strutturata come un falso diario, e credo sarà molto interessante da leggere.
Un paio di e-mail, spedite non so da chi, chiedevano se accettassi donazioni. Insomma, i soldi sono sempre ben accetti, ma non credo sia adeguato un tasto "dona" sui miei blog.
Che ne pensate voi?
venerdì 1 marzo 2013
21
Il mondo aveva perso il minimo senso. I pensieri si erano
affollati l’uno sull’altro in una calca scomposta durante tutta l’ora che aveva
trascorso davanti allo specchio del soggiorno ed ancora non era riuscito a capire. La mano destra fremeva sulla
vecchia radio a valvole che ormai era diventata un semplice ornamento, mentre
la sinistra scandagliava la superficie riflettente. Cercava disperatamente qualcosa.
Un segno divino, forse. Cercava il proprio riflesso.
L’uomo, uscendo dalla camera da letto a seguito di una fitta
alla spalla, aveva inavvertitamente gettato uno sguardo allo specchio. Rimase
atterrito nel constatare che non c’era stato alcuno sguardo di ritorno. Lo
spazio dove avrebbe dovuto esserci il suo doppio ospitava invece il riflesso
della parete opposta. La finestra era spalancata e la bella giornata
primaverile strideva con l’assurda follia kafkiana della situazione all’interno
della villetta. La sottile membrana di stupore misto a terrore che si era
venuta a formare tra le sinapsi dell’uomo si ruppe definitivamente quando la
radio a valvole, ormai rotta irreparabilmente da anni, prese a funzionare all’improvviso.
Lo spavento fece sobbalzare l’uomo così forte che inciampò
nel tappeto che aveva sotto ai piedi e cadde rovinosamente a terra. Il cuore
andava a mille e il rombo del sangue nelle orecchie era così forte da oscurare
quasi ogni altro suono. In tutto quel caos improvviso la radio aveva preso a
cantilenare il numero ventuno, come potrebbe fare un bambino annoiato con una
parola nuova. Le ginocchia dell’uomo iniziarono a tremare vistosamente mentre,
come paralizzato al suolo, la voce misteriosa nella radio a valvole iniziava
pian piano a morire e ad annegare tra lo statico.
Non si rendeva più conto di nulla, se non del terrore e del
fatto che rischiava da un momento all’altro di pisciarsi addosso. Era nel
panico più totale, dimentico di tutto e tutti. Sentiva le unghie della follia
graffiare sulla lavagna logora che era la sua mente.
Senza pensare, scattò in piedi e in un moto convulso si
diresse verso la camera da letto da cui solo un’ora prima era uscito. Aveva
solo voluto raggiungere il bagno per prendere qualcosa contro il dolore alla
spalla, aveva solo voluto continuare la propria vita come aveva sempre fatto. E
invece Alice era inciampata nella tana del Bianconiglio e rischiava di annegare
nella pazzia della situazione in cui si trovava. Doveva trovare qualcosa per
uscirne, una fune a cui aggrapparsi. Riusciva quasi a visualizzare mentalmente
il cellulare sotto carica sul comodino.
Il tragitto, alla luce dei sensi in totale avaria dell’uomo,
sembrò durare anni. Era come un burattino di legno che la paura e il panico si
litigavano, muovendone i fili mentre lottavano insensatamente tra loro. A quel
cocktail emotivo si aggiunse la sorpresa quando, giunto a destinazione,
inciampò su qualcosa e cadde di nuovo a terra. Vide quasi letteralmente le
stelle ed ebbe la sensazione di avere qualcosa di rotto in bocca.
Si rialzò di corsa, per non turbare ulteriormente il luogo
in cui giaceva morto da ormai ventuno ore.
mercoledì 23 gennaio 2013
38
“E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "Morte
Rossa" giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti
giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno morì
nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano
si estinse con quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si
spensero. E l'Oscurità, la Decomposizione e la Morte Rossa regnarono
indisturbate su tutto.”
E.A POE
L’oscurità più totale era disturbata dai movimenti
flemmatici di una sagoma ancora più nera. La mano tastava cautamente il vecchio
tavolo di legno marcito. Le tenebre le impedivano di vedere con chiarezza dove
fosse la valvola della lampada a gas e, quando l’ebbe finalmente trovata, il
tremolante bagliore dell’attrezzo la accecò per qualche secondo. Era stata
tanto, troppo tempo al buio.
La donna, acclimatatasi alla nuova condizione, si sedette su
di uno sgabello consunto. L’umidità e il fetore della putrefazione avevano
ormai impregnato i suoi vestiti, sembravano aver addirittura slavato i suoi
stessi occhi un tempo color nocciola. La luce giallastra della lampada sembrò
per un attimo farsi più intensa quando ne usò la fiamma per accendersi una
sigaretta. Per confezionarla aveva dato fondo all’ultimo barattolo di tabacco,
ma cazzo se era buona.
Il silenzio era quasi denso, interrotto solo di tanto in
tanto da alcuni rumori metallici. La donna aveva smontato il revolver in tutti
i suoi componenti e li stava minuziosamente pulendo, uno ad uno. Alla luce
tremolante della lampada si trattava davvero di un compito difficile. I
sedimenti di piombo potevano far inceppare l’arma al momento sbagliato,
potevano addirittura deviare i proiettili. E questo non era un bene.
Ingobbita su quei freddi pezzi di metallo, la donna pensava.
Ricordava. Gli alberi, i rumori delle città, il caos giornaliero. La routine,
il lavoro come segretaria, il sapore del caffè mattutino. Ivory. Gli mancava,
Ivory. Assieme avevano vissuto una vita piena di amore e di litigi, molte volte
aveva addirittura pensato di piantarlo e di andarsene per sempre. Ma sempre lui
aveva saputo riconquistarla, giorno dopo giorno. Con il suo estro creativo e
con la sua semplicità. Probabilmente ora l’uomo riposava in pace tra il ferro e
i detriti di cemento che un tempo erano stati la ridente e cosmopolita città di
Boston.
I secondi passavano e le lacrime erano sempre più sul punto di far
breccia nella corazza emotiva che vestiva la donna. Non ci riuscirono.
La pistola era carica. Un solo proiettile. La donna spense
la lampada a gas e si diresse verso la botola di legno. Aveva finito le scorte,
ma ormai non le importava più. Il primo impatto con la luce del sole fu quasi
devastante, visto che non usciva da quasi un mese.
L’Anckha, il grande occhio, scrutava il pianeta. Ogni
singolo movimento veniva registrato, analizzato ed archiviato. Come un bambino
sadico che si diverte a spiare l’affannarsi incessante in un formicaio. I
Jarom, le popolazioni indigene, oramai si limitavano a fare delle brevi
comparsate. Ogni volta la loro presenza veniva registrata, archiviata e un
Vektara veniva inviato sul campo. Dopo di che rimanevano solo cenere e rovine.
La grande lente era focalizzata su di un castoro intento a
mordicchiare il tronco di un albero, quando l’attenzione dell’Anckha si spostò
molto più ad ovest. Un Jarom, una femmina, si stava avvicinando ad un Dosta. Questi
non fece in tempo a voltarsi che il contenuto di una delle loro primitive armi
venne scaricato sullo scudo a raggi della creatura. Lo strumento stretto nelle
mani della femmina doveva essere ormai inutilizzabile, perché questa reagì con
lacrime e con uno sputo dritto sulla corazza del Dosta. Questi, semplicemente,
si voltò e incenerì quella bizzarra forma di vita basata sul carbonio. Il
grande occhio registrò che l’arma conteneva di fatto sei colpi, ma che ne era
stato sparato solo uno. La combattività potenziale era sproporzionata con l’offensiva
appena intrapresa. Sei microsecondi dopo arrivò all’ipotesi che la femmina di
Jarom si fosse suicidata. Il calcolatore andò in stallo per un istante. Perché non
aveva semplicemente rivolto l’arma contro di se? Le emozioni dei Jarom erano
davvero complicate da interpretare, quasi irrazionali. Il responso finale fu
DEMENZA. L’informazione venne archiviata e la lente si focalizzò di nuovo sul
castoro. Ora l’animale era passato ad un piccolo ramo.
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